coez 1998

Coez “1998”, il tempo che fa rumore

Coez con 1998, uscito il 13 giugno 2025 per Warner Music Italy, ci apre davanti un nuovo capitolo discografico, anzi no, una dichiarazione di appartenenza. Dopo anni di evoluzioni stilistiche, collaborazioni trasversali e scelte sonore sempre più ampie, Coez torna con un album che ha il sapore di una confidenza. Un album che profuma di grandi ritorni alle radici, una confessione intima, viscerale. Coez ci parla di sè stesso. Ci parla di famiglia, di adolescenza, di ricordi e lo fa con la sua consueta voce roca che ci regala l’esperienza di un diario letto a voce alta.

Il titolo è chiaro. Nel 1998 Coez si affacciava alla fine dell’infanzia e all’inizio del sé. Momento catartico nella vita di chiunque, ma proviamo ad immaginare cosa significa per un artista che, proprio su quelle stesse emozioni, ci ha creato sé stesso. Eppure questo non è un album sugli anni Novanta. Al contrario. Non troviamo quella nostalgia forzata,quell’estetica vintage di chi vive fermo nel ricordo. Troviamo però l’impronta che quel decennio ha lasciato. Lo ritroviamo nelle melodie, nelle parole, nelle immagini: un racconto vissuto di sogni da skatepark, motorini scassati, cassette stereo e amori appena accennati. È un disco che parla di ciò che resta, e di ciò che si perde.

Brani come “Estate 1998” e “Inverno 1998” sono fotografie emotive, dense di dettagli affettivi che non chiedono di essere capiti, ma soltanto ascoltati. A Coez non importa arrivare in questo progetto, è quasi una liberazione creativa che mette a disposizione di chi vuole, davvero, ascoltare. Il singolo “Mal di te” è una ballata che riesce a essere universale nella sua intimità, malinconica ma mai vittimista. Esiste solo quello che effettivamente dice, nessuna sovrastruttura, nessun pensiero distorto. Le produzioni di Esseho, Smordoni e Golden Years costruiscono un impianto sonoro delicato, avvolgente, mai invasivo: una cornice perfetta per parole che sembrano dette più che cantate.

Musicalmente, 1998 si muove nei territori familiari del pop cantautorale che Coez ha saputo rendere suo. Ritroviamo però le sue verbe iniziali. Sono presenti venature urban, qualche traccia elettronica appena accennata e una scrittura che punta tutto sulla sincerità, senza artifici o slogan. Non ci sono beat gridati, non ci sono ritornelli da trend TikTok: il flusso del disco è continuo come se fosse nato per essere ascoltato tutto d’un fiato in una notte insonne.

La collaborazione con Dargen D’Amico in “Qualcosa di grande” apre uno squarcio nel flusso emotivo dell’album, aggiungendo quel tocco in più, quel twist che serviva per non risultare ridondante. Non manca poi la maturità, in pezzi come “Mr Nobody” o “Il tempo vola” si respira una riflessione matura sul presente. La reference è chiara: il Coez di oggi scrivesse lettere al ragazzo che era, senza rimpianti né eroismi.

Se volessimo cercare il punto di forza di questo nuovo lavoro, lo troveremmo nei testi. Non c’è cinismo, non c’è ironia, non ci sono maschere. Coez scrive come si parla a chi si ama, o a chi si è perduto. Non ha la pretesa di spiegare il mondo, ma solo di raccontare quello che è successo a luie in questo, inevitabilmentefinisce per raccontare anche noi.

1998 non è un album fatto per stupire, a tratti potrebbe sembrare quasi ripetitivo, piatto, ma è questa coerenza stilistica che lo rende godibile, ma sicuramente non per tutti. Una sobrietà sonora e narrativa in cui trova la forza per uscire dal piattume delle centinaia di uscite settimanali. Un lavoro che chiede il tempo di ascolto, traccia dopo traccia, come un lento ballo tra lo spazio-tempo. Coez è stanco, non rincorre i trend, non gioca la carta facile della nostalgia estetica, non strizza l’occhio al revival: semplicemente si racconta. E questo, oggi, ha qualcosa di profondamente raro, quasi rivoluzionario.

Personalmente credo che sia l’album perfetto da ascoltare in cuffia, quando si è soli, in macchina o in camera. Un viaggio nel tempo, tra i ricordi che teniamo nascosti, magari tornando con la mente a quando avevamo sedici anni, e ancora non sapevamo quanto il tempo potesse fare rumore.

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