Martedì 28 ottobre 2025, ai Magazzini Generali di Milano, Plant ha portato in scena il suo primo concerto da solista. Il primo, ma anche l’inizio di qualcosa di più grande. Dopo gli anni condivisi con LA SAD — collettivo che ha riscritto il linguaggio del dolore e dell’appartenenza nella nuova generazione emo-rap italiana — Plant è salito sul palco con un’urgenza addosso: quella di mostrarsi nudo, vulnerabile, ma anche capace di reggere da solo il peso di un racconto personale e generazionale.
Il pubblico, arrivato numeroso e compatto, ha accolto il debutto come si accoglie un ritorno a casa dopo una tempesta. Le voci si mescolavano in un coro continuo, quasi una preghiera laica fatta di urla, lacrime e abbracci tra sconosciuti. L’atmosfera era densa, tangibile — di quella materia che non si misura in decibel ma in vibrazioni emotive.
Sul palco, Plant ha costruito un percorso che oscillava tra introspezione e liberazione, tra la rabbia di pezzi più crudi e la dolcezza spigolosa di altri. Non c’era soltanto la voglia di fare musica: c’era una necessità. Un bisogno di dire, di espellere, di trasformare la sofferenza in linguaggio condiviso.
Gli ospiti, arrivati a scandire il live come capitoli di un racconto collettivo, hanno reso la serata ancora più viva. Prima Faster e Fares dei BNKR44, con la loro energia inconfondibile e la capacità di creare connessioni spontanee con il pubblico. Poi Holy Francisco, uno degli artisti che hanno partecipato all’apertura del concerto. 18k ha aggiunto un tocco più oscuro e diretto, accompagnato da un dignitosissimo pogo, mentre Sally Cruz ha illuminato il set con una presenza magnetica e una voce capace di tagliare l’aria. A chiudere la parata, Nitro, che ha fatto esplodere la sala con la sua consueta potenza, incarnando perfettamente quel confine tra rabbia e appartenenza che Plant sembra voler ridefinire.
Nel parlare tra un brano e l’altro, Plant ha tracciato con chiarezza il suo manifesto: creare una nuova scena italiana, fatta di artisti e supporter uniti non solo dal suono, ma da un sentire comune. Una comunità che non teme la fragilità, che urla la propria sofferenza non per compiacersene, ma per riconoscerla e superarla insieme. C’era una lucidità quasi dolorosa nelle sue parole, un desiderio di riscatto che trascendeva il palco e si faceva visione.
Come debutto, il concerto è stato buono — energico, sincero, a tratti emozionante — ma anche consapevole delle proprie imperfezioni. Ci sono margini di crescita, tanto da costruire e definire ancora: nei suoni, nei tempi, nella gestione scenica. Ma è proprio in quella tensione verso qualcosa di più grande che si intravede il valore vero del progetto. Plant non sembra cercare la perfezione, ma l’autenticità. E in un panorama musicale spesso ingessato, è già una piccola rivoluzione.
Il suo cammino da solista è appena cominciato, ma se la direzione resta questa — onesta, vulnerabile, coraggiosa — allora sì: potrebbe davvero nascere una nuova scena.

