Chiello è tornato a Roma e noi, sinceramente, non vedevamo l’ora. Dopo lo spettacolare show della scorsa estate a Parco Schuster, l’artista torna a calcare il palco dell’Atlantico Live con il suo “Scarabocchi Tour”. Il tour nei club partito qualche giorno fa da Senigallia arriva nella Capitale con la voglia di raccontare – ancora una volta – il talento di un artista eclettico, eccentrico e particolare come Chiello.
La scaletta è fitta, poche parole e tanta musica. Rocco non si perde in stupidi discorsi introduttivi. Non racconta altro perchè – obiettivamente – è tutta racchiusa lì, nei testi e nelle melodie che porta sul palcoscenico. Con lui, oltre la sua band, salgono i suoi demoni, le sue paure, i suoi “insetti” che fa volare creando una nuova confusione di cui tutti siamo dannatamente affascinati.

Fin dal primo pezzo, “Amici Stretti”, tutti capiamo quale sarà il mood del concerto e come, inevitabilmente, sarà ridotto il nostro cuore alla fine: malconcio, ma pieno di nuova linfa. Dopotutto chi non si è mai sentito schiacciato dal peso di un mondo troppo cattivo, troppo veloce, troppo performante. Beh, chi non si è mai sentito così solo, vulnerabile, disilluso mente, forse anche a sè stesso. Chiello ci mette la verità in faccia e lo fa senza dargli troppa importanza: sigaretta dopo sigaretta siamo risucchiati nei suoi scarabocchi. Quelli che probabilmente cerca di tirare fuori con queste melodie che ti squarciano l’anima in due, facendo entrare nuova luce.
Il concerto è un vortice di emozioni. Un mix infinito di alti e bassi. Chiello ci prende per mano, ci guida nella sua testa, nel suo dolore, nel rapporto con la morte, con l’amore, con la vita. La scaletta è un lento rilascio. Un fuoco che arde e accende dentro di te quella voglia di ballare, urlare e piangere abbracciata alla persona che è di fianco a te. E’ forse quello il bello dei concerti, quel momento di condivisione in cui ti guardi intorno e non sei più solo.
Lacrime che rigano volti giovanissimi, calze a rete rotte, bicchieri di birra sparsi in giro, sigarette fumate di nascosto per non farsi beccare dalla security, canzoni strillate nelle orecchie e abbracci, tanti abbracci: la vita, quella vera. Quella delle piccole cose, le stesse che ci racconta il protagonista dal palco. Chiello ci porta nel suo “Mare Caldo” e nell’“Acqua Salata” che brucia sulle ferite lasciate da una persona che una volta chiamavamo “Amore mio“.

Andare al concerto di Chiello è un’esperienza. Se sentirlo in cuffia è una connessione con la parte più intima di noi, vederlo live è in qualche modo il resoconto perfetto di un universo mistico. Poesie che si susseguono una dopo l’altra, alternando momenti epici come “Ruggine” con Coez – che a sopresa imbocca sul palco – regalando a tutti tre minuti di pura goduria in cui il pogo non è di certo mancato o la canzone che forse – più delle altre – tutti aspettavamo: “Quanto ti vorrei”. E quindi va bene. Saltiamoci gli uni in braccio agli altri, baciamoci e urliamoci addosso quello che vogliamo perchè dopotutto l’unica cosa che conta è vivere. Dopotutto ci sarà tutto il tempo per farci mangiare dai tafani, dagli insetti, dai vermi.