“Ciao Famiglia”: è così che Tananai torna live a Roma. Il Calmo Cobra Tour estivo riparte dalla Capitale, precisamente dal palco di Rock in Roma a Capannelle.
Non è solo una data. È una sera sospesa nel tempo, una di quelle che ti restano addosso come un profumo. Ma facciamo un passo indietro, a quando il sole è ancora alle porte del tramonto e i cancelli devono ancora aprirsi. Quel momento in cui incontri occhi felici, sorrisi, emozioni che diventano un abbraccio collettivo. All’Ippodromo la luce cala piano sopra una folla impaziente che corre per guadagnarsi il posto migliore per vedere lui, Tananai. L’estate è appena iniziata, sì, ma il calore che si respira non è solo quello dell’aria: è quello dell’attesa, del desiderio collettivo di sentire qualcosa di vero, di lasciarsi attraversare.
Alle 21:45 un battito elettronico rompe il silenzio. Il buio si squarcia in un lampo e lui appare: camicia leggera, occhi vivi, passo sicuro. È Alberto, non solo Tananai, ma il ragazzo che ha imparato a mostrarsi per com’è: imperfetto, emotivo, umano.
Parte “Booster” e Capannelle esplode. Si trasforma in una bolgia di energia. È la canzone che, più di tutte, ho consumato di questo nuovo progetto. “Un, deux, trois, cosa cazzo ne sa di noi?” È impossibile restare fermi. Tananai canta e ti ritrovi altrove, i problemi vanno off, le note ti stringono come una vecchia amica con cui hai condiviso i tuoi demoni.
Poi arriva “Fango”, ed è subito catarsi. I corpi si muovono, ma è l’anima a vibrare. Alberto non canta da solo: una marea di voci lo accompagna, dalla prima all’ultima fila. Un unico corpo che si muove a tempo, che ride, vive, respira emozioni. E lui lo sente. Lo vede. Lo vive.
“Che bello essere tornati a Roma. Qui mi sento proprio a casa e ho deciso di far cominciare questo nuovo tour qui, a Roma, per ringraziarvi per tutto l’amore che mi date. Siamo una famiglia. Che bello essere di nuovo tutti insieme. Divertiamoci”. Le sue parole sono il giro di boa che ci riporta con i piedi a terra, ma con il cuore ancora altissimo.
Da qui è tutto in discesa, verso le nostre emozioni: “Veleno”, “Alibi”, “Ragni”. Una tripletta che stringe, che prende alla gola e lascia senza fiato. Ma non è nulla in confronto a quello che arriva dopo: un medley chitarra e voce, un tuffo nel passato, nei ricordi di quello che siamo stati. E li riconosci subito quelli che c’erano già dall’inizio, quando i post-concerti si facevano in cerchio cantando “Paglie” – che oggi non fa più – e sorseggiando birra.
Poi basta un attimo: il primo accordo, e le lacrime arrivano. “Volersi Male” è stata – senza che me ne accorgessi – la colonna sonora della mia rinascita. Un brano che sa di pazzie fatte per la musica, per quest’amore viscerale e travolgente che ti stravolge la vita. Ha il sorriso delle nuove amicizie e degli amori finiti. Ha il profumo delle sere d’estate che ti restano attaccate addosso per un inverno intero e ha gli occhi, dolci, di chi riesce ancora a commuoversi ai concerti.
Il concerto prosegue, si salta da un brano all’altro. Dalle hit che tutti conosciamo a quelle canzoni che hanno segnato la sua carriera, fino ad arrivare alla canzone che – probabilmente – ha segnato inevitabilmente la sua consacrazione. Parlo, ovviamente di Tango. Le torce invadono l’Ippodromo e la sensazione è chiara: stiamo vivendo un momento che ricorderemo per sempre. C’è poco da dire, ci sono attimi, emozioni, che ti restano attaccate addosso e i concerti di Alberto sono proprio così. Se poi vicino a te hai una persona speciale, una di quelle che ti supporta, ma ti lascia vivere le tue emozioni è ancora più bello. Perchè si, Tananai è condivisione.
Quando le luci cominciano ad abbassarsi e l’ultima nota si spegne nell’aria, rimane qualcosa che va oltre la musica. Le voci piano piano si zittiscono, ma nessuno ha davvero voglia di andarsene. Restiamo lì, fermi, con la sensazione che qualcosa di importante sia appena successo. Gli occhi lucidi, i sorrisi stanchi, i telefoni pieni di video sgranati e cuori gonfi di tutto quello che è passato per quel palco. Tananai saluta, ci ringrazia, si congeda. Consapevole che ci rivedremo, di nuovo, sempre sotta la stessa cassa. Si, proprio quella che giriamo in “mezza Europa”.
Capannelle si svuota, torniamo a casa sudati, scombinati, ma pieni di quella pienezza che solo la musica vera può lasciare. Quelle serate che non si scrollano di dosso facilmente. Di quelle che, anche domani, profumano ancora. Di un’estate che è appena cominciata, ma già ha il sapore di un Ichnusa.