Orietta Berti non smette mai di sorprenderci. Con la sua inconfondibile voce e una carriera che attraversa generazioni, torna con un nuovo brano estivo: “Cabaret”, realizzato insieme a Fabio Rovazzi e ai giovanissimi Fuck Your Click. Un incontro inedito tra stili e generazioni che fonde ironia, ritmo e intelligenza pop.
Abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con lei per farci raccontare com’è nata questa collaborazione, come si è avvicinata al pubblico più giovane e quali sono i segreti che, dopo decenni di carriera, la rendono ancora oggi amatissima e seguitissima. Tra aneddoti divertenti, consigli sinceri e tanta passione per la musica, Orietta ci regala una conversazione autentica, proprio come lei.
Parliamo di “Cabaret”, che è appunto il tuo ultimo pezzo insieme ai Fuck Your Click e a Rovazzi. Un brano estivo, ironico, ma anche tagliente. Com’è stato unire i tre mondi musicali e soprattutto com’è nata la collaborazione?
Beh, un po’ l’ho voluto io. Ho detto ad Anti, il produttore: “Guarda, vorrei fare qualcosa, perché la canzone si prestava, no?”. Quindi ho pensato subito a una collaborazione con altri miei colleghi. Mi è venuto in mente Rovazzi perché è un mio carissimo amico, lavoriamo sempre insieme: abbiamo fatto tre trasmissioni televisive, tante collaborazioni, diversi concerti… Mi piaceva l’idea di lavorare ancora con lui. L’ho chiamato, gli ho detto che gli avrei mandato il brano, e appena l’ha ascoltato mi ha richiamato entusiasta: “Sì, sì, mi piace!”. Però ha aggiunto: “Chi pensi di coinvolgere come terza voce?”. Gli ho detto: “Dimmi tu qualche nome della nuova generazione”. E lui: “Ci sono questi ragazzi di Roma, i Fuck Your Click, stanno spopolando tra i giovanissimi. A me fanno ridere, mi ricordano Elio e le Storie Tese agli inizi”.
Invece di farmeli ascoltare, mi ha fatto vedere una foto: erano tutti in giacca e cravatta, pettinati come i Beatles, con le frangette. Ho pensato: “Va bene, sono carini, eleganti”. Gli ho chiesto come fossero vocalmente, e lui mi ha detto: “Hanno delle belle voci, ma un frasario non proprio… convenzionale”. Ho risposto: “Va bene, tanto il testo è già scritto, devono cantare queste parole, quindi non possono aggiungere roba che non c’entra”.
E così li abbiamo ‘obbligati’ a cantare normalmente. È stato difficile? Un po’. Ma sono rimasti contenti: sono usciti sui giornali e hanno guadagnato 15.000 follower in due settimane. Insomma, erano felicissimi. Sono molto giovani, devono ancora trovare la loro strada e sperimentare. Adesso si entusiasmano perché hanno le piazze piene, ma gli ho detto: “Dopo il prossimo brano dovete fare di più, non tornare indietro”. Il pubblico è esigente.
Diciamo che tu sei maestra in questo, perché negli ultimi anni ti sei avvicinata molto anche a un pubblico più giovane. È così?
Sì, è vero. Nei miei concerti la maggior parte del pubblico sono proprio i più giovani. Mi fa molto piacere, mi dà tenerezza. Secondo me sono i figli e i nipoti di quelli che mi ascoltavano una volta.
Io per esempio sono cresciuta con le tue canzoni perché mia nonna me le cantava.
Ecco, vedi? È una cosa molto bella. Tra l’altro mi hanno detto che ci assomigliamo anche, quindi per me è ancora più bello parlare con te.
Qual è l’emozione che provi quando ti ritrovi davanti a piazze piene di giovanissimi che cantano le tue canzoni?
Mi fa piacere, davvero. Anche gli organizzatori spesso dicono: “Non abbiamo mai visto una piazza così piena di giovani che ballano e cantano fino alla fine”.
Il mio spettacolo è molto divertente: ogni canzone ha il suo video, grazie ai Sugar Kane. Nicolò, che mi suggerisce anche gli abiti, è bravissimo. Collabora con grandi sartorie e fa parte dei Supercash. Con loro ho realizzato video per quasi tutto il mio repertorio. Adesso la gente vuole vedere e ascoltare. È una società frenetica, visiva, e anche molto attenta ai suoni. Io mi produco da sola dagli anni ’80: ho tutte le basi musicali e cinque musicisti che suonano sopra. Il suono è perfetto, alla Achille Lauro, diciamo. Se vuoi un pubblico giovane, devi mantenere un equilibrio musicale giovane.
Devi avere il video, la buona base musicale, le luci, i fuochi… tutto. A volte devo stare attenta perché con certi abiti svolazzanti e i fuochi troppo vicini… rischio!
La cosa bella è che non ti sei mai snaturata per piacere al pubblico. Sei sempre rimasta te stessa.
Sì, è vero. Non ho mai cambiato il mio carattere: sono sempre stata una donna sincera e semplice. Certo, ho modificato un po’ il modo di cantare: se fai una canzone rap, devi adattarti al tempo, alla ritmica, devi scandire tante parole. Ma lo faccio con piacere, e secondo me lo faccio bene. Va dritto alla mente e al cuore.
Visto che è bello guardare anche indietro: hai dei riti o abitudini prima di salire sul palco? Qualcosa di scaramantico?
No, nulla di scaramantico. Quello che dico sempre ai ragazzi è: ascoltatevi. Io ho sempre le cuffie, anche quando sono in casa o faccio giardinaggio. Mi ascolto le basi e ci canto sopra. Anche sul playback ti alleni all’intonazione. È una scuola: la voce è un muscolo e va allenata
Più canti, più la voce si rafforza. Aumentano le estensioni, le note diventano più acute o più basse. Quando posso ascoltare musica, io canto. Per questo, quando salgo sul palco, la mia voce non è mai stanca. Posso cantare per due ore senza problemi. Un’altra cosa che faccio è mangiare un peperoncino con un po’ di pane prima del concerto. Mi pulisce la gola e le corde vocali. Qualcuno usa il miele o le acciughe, dicono che facciano bene, ma a me non piacciono. Ognuno ha i suoi metodi!
C’è un momento della tua lunga carriera che, potendo, rivivresti o affronteresti in modo diverso?
Ma sai, è troppo diverso il mondo di ieri rispetto a oggi. Una volta per ascoltare un brano dovevi andare a Milano. Ora te lo mandano in due minuti. Oggi un ragazzo può mettersi online e magari trova un produttore che lo lancia. Una volta era un colpo di fortuna trovare qualcuno che ti portasse in una casa discografica.
Oggi è tutto più facile, ma finisce anche tutto prima. Fai un disco forte e l’anno dopo non ti calcolano più. Prima curavano di più i progetti, eravamo anche meno. Era un lavoro che non volevano fare tutti, non era per tutti.
Che consiglio daresti ai giovani artisti che si affacciano al mondo della musica?
Devono imparare a gestire il repertorio nei live. Spesso vedo ragazzi che sparano le note più alte nelle prime due canzoni e alla quarta sono già senza voce. Bisogna iniziare con i pezzi più semplici e salire man mano. La canzone più forte la devi tenere per la fine.
Qual è un sogno che hai ancora nel cassetto, magari non ancora realizzato?
Con la musica ho fatto un po’ tutto. Forse mi piacerebbe fare altre trasmissioni televisive, tipo “Le brave ragazze”, che mi è piaciuto molto. Oppure fare l’opinionista, mi diverte.
E il ricordo più bello della tua carriera?
Sanremo con Giorgio Faletti. Ora che non c’è più, lo ricordo con tanto affetto. Quella settimana è stata una risata continua. Per me è stata una vacanza più che una competizione. Vivere con Giorgio era come essere dentro una commedia. Era un uomo incredibile, avrebbe dato ancora tanto. Peccato.
Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato.
Grazie a voi, è stato un piacere. Buona estate, e ballate su “Cabaret”!
Grazie a TIME RECORDS per l’intervista.