Ci sono numeri che diventano leggende. Non perché siano grandi, né perché siano rari, ma perché qualcuno li ha caricati di significato, di tempo, di memoria. Per chi in cuffia ascolta Mecna, quel numero è il 31 e la sua leggenda. Un enigma ricorrente. Una cifra apparentemente qualunque, diventata simbolo di un’estetica, di un sentimento, di una poetica tutta sua: la malinconia moderna.
“Se non torni a fine mese / come faccio a respirare?”
— Mecna, 31/07
Chi ascolta Mecna da anni lo sa: 31 è ovunque. Appare come un fantasma tra le righe dei testi, nei titoli, nelle immagini, nei silenzi. Il brano “31/07” è il più esplicito, ma il numero si insinua anche in Lungomare paranoia, Neverland, Blue Karaoke — è un segno lasciato a margine di ogni strofa, come un messaggio in codice.
“Ogni estate finisce il 31, e ogni volta è come se qualcosa mi restasse incastrato dentro.”
— Mecna (da un’intervista del 2021)
Un numero o una soglia?
Il 31 non è solo una data. È un confine. L’ultimo giorno possibile. Un ponte sottile tra ciò che è stato e ciò che non sarà più. Mecna non lo spiega, non lo razionalizza. Lo sussurra all’orecchio, lo lascia lì cristallizzato nel tempo e nello spazio. Tra le note e le stelle. Il 31 diventa così un simbolo universale di perdita, ma anche di attesa. È la fine dell’estate, certo, ma anche l’ultima notte in cui tutto può ancora succedere. C’è chi lo interpreta come una data precisa, magari legata a un ricordo personale dell’artista. Altri lo vedono come una metafora del limite, dell’estremo, del giorno “fuori tempo” che non dovrebbe esistere — perché non tutti i mesi arrivano al 31. In entrambi i casi, il messaggio è lo stesso: è il giorno che rimane, anche quando tutto il resto è già passato.
In 31/07, la voce è rotta, il synth pulsa come un cuore in ritardo, le parole sanno di addio:
“Ma se è vero che il tempo non passa / allora perché mi sento lontano da te?”
Ogni nota è un ricordo che si rifiuta di svanire.
Il culto segreto di chi ha capito
Chi segue Mecna sa che il 31 non va capito. Va sentito nel profondo, nell’io più intimo. Va vissuto in quel momento in cui torni a casa da solo alle 2:48 di notte, la città dorme, e tu ti senti improvvisamente reale. È lì che il 31 ti bussa alla porta. È lì che ti rendi conto che non sei solo a portarselo addosso come una cicatrice che non si vede, ma pulsa.
La potenza del 31 sta anche nel suo non voler essere spiegato. Mecna non lo ha mai chiarito fino in fondo. Forse perché non c’è nulla da chiarire. Oppure, al contrario, perché chiarirlo lo rovinerebbe. Lui fa quello che fanno i grandi poeti: lascia uno spazio. Un varco aperto in cui chiunque può infilarsi con la propria storia. Il proprio dolore. Il proprio 31.
Il 31 sei tu
Forse il 31, in fondo, è solo questo: il simbolo perfetto della poetica di Mecna. Un artista che non ha mai avuto bisogno di spiegare troppo. Che ha sempre preferito lasciare spazi vuoti, margini sfocati, possibilità di lettura. Che non ha paura di mostrarsi fragile, e proprio per questo ha trovato un pubblico che nella sua musica si rifugia.
E allora il 31 resta lì. Un numero, una fine, un inizio. Un punto di sospensione.
Come una canzone che non smette di girare in loop, quando fuori è già notte, e dentro ancora non è giorno