Ciao amici di More Music Magazine, siamo qui con Lorenzo Fragola. Benvenuto su questi schermi. È veramente un piacere averti con noi e visto che sei tornato a fare musica, volevo parlare appunto del tuo ultimo singolo “1xTe1xMe”, che segna un ritorno importante. Cosa rappresenta questo brano per te a livello personale e musicale?
Intanto grazie per ospitarmi. Quello che rappresenta è un inizio, un “rinizio”. Era da tanto che non pubblicavo canzoni. Non ho mai smesso di fare musica, ma avevo smesso di pubblicarla perché semplicemente non sentivo fosse il momento giusto. Più che una questione di brani — ne avevo anche alcuni nel cassetto che mi piacevano — era proprio uno stato d’animo. Non mi sembrava il momento adatto per condividere la mia musica col pubblico.
Questo brano è stato il modo per riaffacciarmi con leggerezza, per superare una certa paura del confronto. Mi sono sempre ascoltato e ho sempre ascoltato le persone attorno a me, ma mi mancava la spinta giusta per farlo ufficialmente.
In più, pubblicarlo in estate ha un valore simbolico: l’estate è un momento di rinascita e di leggerezza, e volevo iniziare questo percorso proprio da qui. Se non lo avessi fatto ora, sarebbe stato un rimpianto.
Certo, poi comunque l’estate dà anche quell’idea di rinascita, di una nuova versione di sé. Tornando anche al passato con l’hashtag “#fuoric’èilsole”, l’estate ha sempre fatto parte un po’ della tua musica. Questa nuova canzone ha anche un sound diverso. Secondo me è perfetta come potenziale hit estiva. Riguardo a questo cambiamento, che tipo di lavoro hai fatto sul sound? È stato più un processo legato alla crescita personale o hai voluto sperimentare con nuovi generi?
Guarda, in realtà non mi sono mai dato dei limiti di genere. Non per fare il “finto alternativo”, ma proprio perché non è nella mia natura. Ho iniziato scrivendo in inglese, poi ho imparato a scrivere in italiano. Credo sia importante per un artista trovare la propria strada anche passando da varie tappe. In questo caso, il cambiamento è legato all’età, all’esperienza e alle competenze tecniche che ho acquisito. Ho imparato a produrre, a curare arrangiamenti. Oggi non voglio definire il mio sound, ma sicuramente ho trovato una dimensione dove gli strumenti reali — chitarra, batteria, basso — non sono legati per forza alla loro accezione classica.
Non è più “chitarra = pezzo chitarra e voce” o “piano = canzone triste”. Oggi voglio giocare con gli strumenti, creare qualcosa che rispecchi il più possibile quello che sento. Questo singolo riflette proprio questo: c’è una chitarra acustica, ci sono percussioni, ma tutto è suonato in modo sincero, spontaneo. E nei prossimi brani questa visione sarà ancora più chiara.
Questa è una visione molto interessante, anche perché già da piccolo si percepiva nelle tue canzoni l’amore per lo strumento. Oggi, con la maturità, questa passione si fa ancora più evidente.
Sì, e anche il mondo musicale stesso sta un po’ cambiando. Dopo anni in cui i suoni trap e l’accesso alle tecnologie hanno “democratizzato” la produzione, ora si sta tornando a valorizzare la competenza.
Non c’è più solo il beat e il sample pronto, ma si riscopre il valore del musicista. Credo che questa tendenza prenderà sempre più piede. Ed è bello, perché chi studia, chi suona davvero, merita spazio.
Visto che sei stato un po’ lontano dai riflettori, quanto ti è servito il silenzio per capire chi è davvero Lorenzo?
Tantissimo. Anche se all’inizio fa paura. Il silenzio sembra l’opposto della musica, ma poi capisci che la musica esiste proprio grazie ai silenzi. Le pause in un brano sono spesso più importanti del suono stesso. E così anche nella vita: ci sono momenti in cui hai bisogno di ascoltarti, di isolarti dalla confusione del mondo. All’inizio è dura, perché devi fare i conti con te stesso, ma poi diventa una risorsa. Capisci quando parlare, quando tacere, quando ascoltare. È questione di equilibrio. E oggi riesco a vivere con più consapevolezza anche quei momenti di vuoto.
E tu li hai reinterpretati benissimo, come si sente nel tuo nuovo lavoro. Tornando indietro nel tempo: com’è stato essere un giovanissimo vincitore di X Factor? E cosa diresti oggi a quel Lorenzo?
Guarda, proprio ieri ho rivisto “Ritorno al futuro” e mi ha fatto pensare. Tornare indietro, con la consapevolezza di oggi, può sembrare utile, ma cambia tutto. Quindi no, non cambierei nulla. Anzi, ringrazierei quel Lorenzo. Anche per gli errori. Perché è da lì che ho imparato di più. Per un periodo ho vissuto tutto con difficoltà, poi col tempo ho imparato a guardare quel percorso con gratitudine. Gli errori, le scelte sbagliate, i dubbi: tutto è servito a farmi diventare quello che sono.
Hai un momento preciso di X Factor che ricordi con gioia o che ti ha lasciato un grande insegnamento?
Forse la proclamazione della vittoria. È stato un momento strano, bello, ma anche difficile da accettare. A volte uno si sente inadeguato, la famosa sindrome dell’impostore. Ma poi capisci che la fortuna, se ce l’hai, devi anche saperla usare. Quel momento è stato l’inizio di qualcosa più grande di me e oggi ne sono solo grato.
Ti senti ancora etichettato come “cantante da talent” o hai superato questa immagine?
Penso di averla superata. All’inizio ci ho sofferto un po’, ma poi, scrivendo tante canzoni anche per altri, è emersa la mia anima da autore. Mi piace quando si parla di me come cantautore, perché scrivere è la parte che amo di più. Non mi reputo un grande cantante vocalmente, ma lavorare sui testi e sulle melodie è ciò che mi stimola davvero.
E credo che questa cosa si sia fatta vedere sempre di più nel tempo.
Hai mai pensato di lasciare il canto per dedicarti solo alla scrittura?
Sì, l’ho pensato. Non come “piano B”, ma come possibilità che mi dà serenità. Sapere che posso scrivere anche senza metterci la faccia mi toglie pressione. Ma la verità è che voglio metterci la faccia, mi piace. E oggi lo faccio con più tranquillità, sapendo che ho sempre quella strada. La musica sarà parte della mia vita in ogni caso.
Cosa speri che arrivi alle persone da questa nuova fase della tua musica?
Sincerità. Non è facile farsi ascoltare, oggi c’è tantissimo caos musicale. Ma se anche solo una persona si ritaglia due minuti per ascoltare quello che ho da dire, per me è già tanto. Poi ognuno decide se gli piace o no, ma io quello che posso fare è esserci, condividere, e farlo nel modo più onesto possibile.
Ultima domanda classica del nostro magazine: le tre canzoni che non possono mai mancare nella tua playlist, quelle che ti hanno segnato profondamente.
Domanda difficilissima! Ti dico le prime tre che mi vengono in mente:
- My Way – Frank Sinatra
- The Drugs Don’t Work – The Verve
- I giardini di marzo – Lucio Battisti