Esistono notti che restano impresse nella pelle, nelle orecchie, nello stomaco. Notti che ti restano addosso anche quando è finita la musica. La notte di Fabri Fibra a Roma non è stata solo un concerto: è stata un’esperienza collettiva, un rito urbano, una scarica elettrica che ha attraversato cuori e coscienze. Il Circo Massimo si è trasformato in un punto di ritrovo per un’intera generazione — e non solo — che ha vissuto sulla propria pelle l’ansia del futuro e la certezza che niente ti viene regalato, che solo lavorando sodo si ottengono i risultati.
Lo ammetto: non avevo mai visto Fibra live. Anzi, vi dirò di più: le sue canzoni le ho sempre sentite “di riflesso”, mai perché le cercassi. Ma la curiosità era tanta. Volevo capire da vicino che cosa colpisse così tanto, perché una cosa mi è sempre rimasta addosso: la verità nei suoi testi. Una penna diretta, scomoda, che non si preoccupa di risultare simpatica. Che scrive quello che vede, anche se fa male. Anzi, soprattutto se fa male. Fibra racconta il marcio che spesso scegliamo di ignorare. Ecco, lì al Circo Massimo era impossibile fare finta di niente.
Poco dopo le 21, tra l’urlo del pubblico e il rimbombo dei bassi, le luci si spengono. Silenzio. Poi parte il viaggio.
Fibra entra sul palco come un treno: preciso, potente, accompagnato da visual curati, una scenografia semplice ma efficace, Double S dietro di lui e la sicurezza di chi sa ancora dominare il palco. È uno dei pochi che può ancora permetterselo, senza finzioni.
Il concerto si apre con “L’Avvelenata” di Guccini, reinterpretata con rabbia e lucidità. Non è solo un omaggio: è un manifesto. Ci sta dicendo che questa non sarà una serata di intrattenimento, ma una discesa dentro la realtà del Paese. Da lì in poi è un crescendo.
“La Fine del Mondo”, “Mille Volte”, e poi la botta vera con “Tutti Pazzi”, “Salsa Piccante” e “Sbang”. Ma è con “Stupidi” che arriva il punto di svolta: salgono Nerissima Serpe e Papa V, e il brano diventa un’onda. Sul palco c’è l’energia, sotto c’è una marea che risponde senza esitazione.
Roma non delude mai: cori da stadio, mani al cielo, occhi lucidi, gente che salta e canta a memoria. Ogni canzone è un’esplosione collettiva. Ed è lì che capisci: Fabri Fibra ci mancava. Un artista che, nonostante il tempo, resta fedele a sé stesso. Così autentico da farci tornare indietro nel tempo, ma con la lucidità di oggi.
Con “In Italia” arriva la riflessione. La folla si ammutolisce un attimo. È come se tutti si rendessero conto di quello che stanno ascoltando, come se quelle parole facessero ancora più rumore del beat. Poi un salto nel passato: “La Pula”, “Demo nello Stereo”. Nessuna nostalgia finta. Solo la consapevolezza del percorso fatto. Le canzoni suonano ancora vere, ancora necessarie.
Il concerto continua, carico di energia. Io e la mia partner in crime ci guardiamo e ci ritroviamo ragazzine, schiacciate sotto la cassa di una discoteca di periferia. Noi, figli degli anni ’90, l’abbiamo vissuta così la night: con pezzi come “Fenomeno”, “Propaganda”, e il medley devastante di Mr. Simpatia: “Rap in Vena”, “Non Crollo”, “Non Fare la Puttana”.
Lì Fibra torna nudo, diretto, senza sovrastrutture. È l’anima vera del rap italiano.
Negli ultimi minuti del live, il ritmo non cala mai: da “Bugiardo” a “Cocaine”, “Caos”, “Vip in Trip”, fino alla chiusura con “Applausi”, “Mi Stai Sul Cazzo” e “Verso Altri Lidi”. Ogni brano è un colpo allo stomaco, una riga sottolineata. E quando sul palco arrivano anche Tommaso Paradiso e Tredicipietro, il mix tra generazioni diventa evidente.
Ecco cosa mi porto a casa: questo non è stato solo un concerto. È stato un momento condiviso tra chi ha iniziato a lottare anni fa e chi lo sta facendo ora. Tra chi ha fatto la storia e chi la sta riscrivendo. Padri che conoscono a memoria Mr. Simpatia, figli che cantano “Che gusto c’è” come fosse il loro inno. Il rap, quando è fatto con la pancia e con la testa, riesce ancora a parlare a tutti. Senza filtri, senza ipocrisie.
Fabri Fibra oggi non è solo la voce di una generazione. È un ponte. Un testimone passato di mano. Un artista che scuote, che non edulcora, che dice le cose come stanno. E per me, che non l’avevo mai visto dal vivo, è stato un viaggio in un mondo che pensavo di conoscere. Ma che così, non l’avevo mai vissuto.