“Se saltiamo tutti insieme il pavimento non ci tiene” non è solo una frase tratta da E allora ciao, brano scelto per concludere la scaletta degli show di Willie Peyote live, ma la perfetta sintesi di ciò che l’artista torinese ha sempre voluto trasmettere al pubblico che decide di ascoltarlo: la volontà di riscoprirsi collettività in un’epoca che ci rende sempre più soli e orientati al puro individualismo.
Abbiamo avuto il privilegio di assistere a tre tappe dell’ultimo tour: la data zero a Torino – la sua città, celebrativa dei dieci anni dall’uscita di Educazione Sabauda – quella di Roma e quella di Milano, che vi racconteremo in un secondo momento.
L’apertura è didascalica: Che bella giornata. Bastano pochi secondi perché il pubblico capisca di essere nel posto giusto: il luogo dove si può finalmente urlare la propria condanna ad essere fraintesi. Subito dopo si viene trasportati Sulla riva del fiume, in attesa che i cadaveri passino mentre ci si incolpa per i propri errori. Infine, arriva il momento di togliere la Polvere dai sentimenti — anche se, più che di emozioni, il brano parla forse di consapevolezza.
Dopo i saluti di rito, il concerto prende una piega più politica. È il momento in cui Willie si prende la libertà di dire quelle cose che solitamente nei testi si evitano, per non rischiare di perdere gli sponsor. Giorgia nel paese che si meraviglia è un’ironica dedica alla nostra premier; Io non sono razzista ma… è una stoccata diretta al cuore del perbenismo, una piaga ancora troppo attuale. Questi due brani diventano una sorta di cartina tornasole: chi applaude ha capito, chi ride troppo… forse no.
Dopo la denuncia, arriva la riflessione. Buon auspicio è una sorta di auto-predica, o almeno un tentativo di rimettere ordine nel caos morale. Poi il tono si fa più intimo. Portapalazzo, omaggio sincero a uno dei quartieri simbolo di Torino, si fonde con un piccolo tributo agli Arctic Monkeys, preludio perfetto per I Cani, brano sincero e aggressivo che permette al pubblico di liberare rabbie represse.
Arriva Next, forse il brano più pop della scaletta – ma tutt’altro che leggero. L’ironia elegante con cui analizza le dinamiche del dating contemporaneo è chirurgica. Le stesse app tornano nel mirino anche in Metti che domani, canzone che immaginava un futuro distopico… oggi sempre meno ipotetico.
C’è spazio anche per i sentimenti, ma senza zucchero. Willie Pooh è una delle dichiarazioni d’amore più sincere e disilluse del suo repertorio, mentre Chissà esplora l’amore in retrospettiva, nella sua forma più malinconica. A Torino lo accompagna Anna Castiglia; a Roma e Milano c’è Ditonellapiaga – voce originale del brano – che resta sul palco anche per Un tempo piccolo, la cover presentata a Sanremo 2025. Un momento toccante.
Poi l’introspezione si fa più profonda. Etichette e Giusto la metà di me scavano dentro le nevrosi, i ruoli sociali imposti, il conflitto tra persona e personaggio. La band resta sola nel finale, un regalo per chi sa ascoltare con attenzione.
Dopo una pausa più leggera con Aglio e Olio – accompagnato da Fulminacci nella data torinese – arriva una raffica per veri fan della prima ora: Oscar Carogna, Friggi le polpette nella merda + 1312, Glik. È uno sfogo collettivo, senza filtri: verità urlate in faccia.
A Torino, una sorpresa che vale da sola il prezzo del biglietto: i Subsonica salgono sul palco per Preso Blu, creando un’atmosfera sospesa e potente, subito prima di La tua futura ex moglie. Forse il brano più celebre dell’artista – fuori dal circuito sanremese – viene accolto come un inno. Pochi telefoni alzati, tante persone con lo sguardo rapito. Qualcuno, forse, ha visto dio sotto le lenzuola.
O magari era solo C’era una Vodka… e i fumi dell’alcol hanno reso tutto più intenso. La chiusura si avvicina. La mirrorball disegna la giusta atmosfera per Ottima scusa, seguita da Le chiavi in borsa. È il momento in cui Willie Peyote toglie gli In-ear e si gode il pubblico che canta con lui.
Dopo la consueta finta uscita con Grazie ma no grazie, il rientro sul palco è l’ultimo atto. Semaforo racconta un amore libero dalle logiche di mercato, mentre Mai dire mai è il colpo di coda: ironia tagliente e provocazione necessaria.
“E allora ciao”: un addio che non è un addio
Tutte le date si sono concluse con E allora ciao, brano dal ritmo incalzante e dal testo che suona come un vero manifesto. Ed è proprio su quella frase – “Se saltiamo tutti insieme il pavimento non ci tiene” – che accade qualcosa.
Un salto collettivo, ma anche simbolico. Un momento in cui il pubblico si muove all’unisono. Non solo per entusiasmo, ma per una sorta di necessità. Una prova di esistenza collettiva in un’epoca dominata dalla distrazione. Una resistenza silenziosa, ma reale.
Willie Peyote non è un profeta, né un predicatore. È un interprete lucido del presente. I suoi concerti sono atti di militanza emotiva e culturale: non salvano il mondo, ma nemmeno si rassegnano a lasciarlo andare alla deriva.
Chi c’era – a Torino, Roma o Milano – lo sa bene: si torna a casa sudati, stanchi, e con la testa piena di pensieri scomodi. Ma anche con la sensazione che, forse, se saltiamo tutti insieme, il pavimento davvero non ci tiene. Al prossimo concerto di Willie Peyote.