pinguini tattici nucleari roma

Hello Roma, il mondo dei Pinguini Tattici Nucleari arriva all’Olimpico

“Perché stasera Roma pare solo nostra” Ed è vero. Lo so, fa strano immaginare Roma solo nostra. Ma quando i Pinguini Tattici Nucleari mettono piede nella Capitale, la sensazione è proprio quella. O forse — tra alieni, musica e luci che sembrano venire da un altro mondo — si crea davvero un universo parallelo in cui, per qualche ora, siamo tutti semplicemente liberi. Onestamente non lo so, però c’è una verità: questi sei ragazzi di Bergamo riescono, ogni volta, a conquistarmi. E a giudicare dalla quantità di biglietti venduti, direi che non sono affatto l’unica.

In un’epoca musicale tanto complicata — tra sold out finti, biglietti sempre più costosi, un oceano di canzoni che escono ogni giorno — riuscire a riempire lo Stadio Olimpico non è solo un’impresa: è una dichiarazione d’amore tra artista e pubblico, una promessa mantenuta, una scintilla di verità in mezzo al rumore.

Perché ci sono serate che non sono solo musica. Sono esperienze. Pagine di memoria collettiva che si scrivono a suon di lacrime, cori, luci e parole che ti arrivano dentro senza chiedere il permesso e la notte del 4 luglio 2025 allo Stadio Olimpico di Roma è stata esattamente questo: una celebrazione dell’essere umani, un grido corale, uno slancio che ha unito sessantamila cuori sotto un unico cielo.

L’Ultima tappa dell’“Hello World Tour”, il live romano non è stato solo un trionfo. E’ stato un rito di passaggio, un saluto carico di gratitudine e malinconia. E per una notte, Roma è stata davvero solo nostra.

Un’apertura da pelle d’oca: il futuro ci parla in musica

Ore 21:02. Le luci si spengono. Un’IA prende la parola dagli schermi: “Benvenuti nella nostra testa”. Inizia così, con la voce digitale di un’entità artificiale che accompagna la band fin dal primo accordo il concerto dei Pinguini Tattici Nucleari. Poi esplode “Hello World” e lo stadio si trasforma: pioggia di coriandoli, fiamme sincronizzate, visori LED, una macchina del tempo emotiva che ci porta da Bergamo al cuore del mondo.

A seguire: “Giovani Wannabe”, “Ringo Starr”, “Romantico ma muori”. Non c’è attesa: si entra subito nel vivo, una sorta di concerto al contrario con tanto di coriandoli alla prima canzone, come se tutto quello che conta fosse già lì, in quel primo blocco urlato a squarciagola da 60.000 voci. La band è impeccabile, ma soprattutto vera. Riccardo Zanotti canta con il corpo, sorride con gli occhi e arriva anche se sei sospesa nell’ultima fila della sala stampa.

Tra luci e ombre, un viaggio dentro l’anima

La seconda parte del concerto si apre con brani più intimi: “Islanda” accompagna un visual etereo, dove gli avatar dei sei membri fluttuano in uno scenario glitchato tra sogno e malinconia. “La nostra musica è un abbraccio a chi si sente fuori posto”, sussurra Riccardo tra un pezzo e l’altro. E davvero, mai come in questo show, si è respirato il bisogno collettivo di sentirsi compresi. Le parole di Riccardo, una carezza su un cuore guarito che vive di ricordi e di battiti sospesi nel tempo, nello spazio, nella consapevolezza del dolore e nell’accettazione di questo.

“La banalità del mare”, “Giulia”, “Amaro”, “Lake Washington Boulevard”: ogni canzone è una storia, ogni verso un nodo alla gola. Il mio personale ricordo di un amore chiuso nella scatola dei ricordi. Il pubblico smette quasi di cantare, per non rompere l’incantesimo. È un momento di struggente bellezza, ma aspettate perchè – come dice qualcuno – il ” bello deve ancora venire.

Un DJ-set glitch, un finale da titoli di coda

Nel momento più inaspettato, lo show si trasforma in un DJ-set psichedelico: un mashup onirico di “Burnout”, “Scooby Doo”, “Tetris”, “Your Dog” e peccato che dalla sala stampa non riuscivamo a sentire bene perchè è senza dubbio il mio momento preferito dell’intero concerto, un amarcord dei concerti dell’inizio, quando i PTN erano di “pochi”, una pietra preziosa che ancora doveva sbocciare, ma che aveva ancora quella poesia tipica di chi ha la strada segnata anche se su un furgoncino con scritto “Dentista Croazia”. La band si fonde con le luci, i visual impazziscono, il pubblico danza come in un rave emotivo. È un momento di pura trance, eppure, anche lì, tutto resta profondamente “Pinguini”: dolce, brillante, sincero.

Poi tutto si ferma, le torce si accendono e parte “Migliore”. Ogni parola sarebbe superflua, quasi una mancanza di rispetto ad un argomento così difficile da farmi venire il nodo allo stomaco. L’unica cosa che mi sento di dire è che l’amore non è possesso e che deve rendere migliore soprattutto chi lo prova. E quindi si, ho cantato, pensando a tutte le donne che quotidianamente vivono il loro personale incubo che – fin troppo spesso – finisce con un titolo sul tg della sera. Io in un futuro migliore ci spero. Lotto per averlo per me, per le donne che verranno e per quelle che la voce – purtroppo – non l’hanno più.

Il concerto si chiude con tre colpi al cuore: “Rubami la notte”, “Pastello Bianco”, “Titoli di coda”. L’ultimo brano viene cantato da tutto il pubblico, senza la voce di Riccardo. Solo pianoforte, e 60.000 voci rotte dalla nostalgia.

Quello dei Pinguini Tattici Nucleari a Roma non è stato solo l’ultimo show di un tour sold-out. È stato un addio temporaneo al sogno, e insieme una promessa di ritorno. Una serata che ha mostrato come il pop, quando è scritto col cuore e suonato con la pelle, possa essere rivoluzionario, trasversale, curativo.

Perché certe band non suonano solo per te. Ti ricordano chi sei. E lo fanno nel modo più gentile e potente possibile: cantandotelo addosso, sotto le stelle. E questi sono proprio i Pinguini Tattici Nucleari.

Comments

No comments yet. Why don’t you start the discussion?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *